Quando vivere è un’esperienza “diversa”.

Il 27 di questo mese, su SKY1, alle 11.00 circa, trasmetteranno un film che ho visto da poco in DVD; il titolo del film è “Tutto ciò che voglio”. Il regista è Ben Lewin, la protagonista Dakota Fanning.

Ora, io non ho Ski1, ma avendo letto la programmazione in rete, se ne avete l’occasione e la voglia in questi giorni di festa, vi consiglio di vederlo.

L’argomento sulle prime può spaventare, perché si tratta di un argomento che tocca non poche famiglie, ovvero l’autismo.

Se l’argomento è impegnativo, il film è piacevole e scorre leggero lasciandosi guardare con curiosità ed una certa enfasi empatica per la protagonista (almeno questo è capitato a me) e le sue vicissitudini.

La trama: Wendy, questo il nome della protagonista, soffre dunque di una forma di autismo e vive in una struttura specializzata da quando sua madre è morta; la sua terapeuta è Scottie, interpretata da Toni Colette, una che è stata candidata all’ Oscar… e prima o poi, magari lo vince anche.

Wendy ha imparato ad essere autonoma nella maggior parte delle sue attività quotidiane; lavora in un fast food, dove si reca tutti i giorni da sola e a piedi, seguendo un itinerario ben preciso costellato di limiti e paletti predefiniti che l’aiutano negli spostamenti e a superare insicurezze e paure.

Mozart, by Liu Ye

Mozart  – di Liu Ye

In generale tutto il suo quotidiano è scandito da queste regole precise e ripetitive; lei le ha imparate seguendo la sua terapia presso il centro dove è ospitata e questo la aiuta a gestire il suo modo particolare di vivere la realtà. Grazie alle regole riesce a mantenere tutto sotto controllo.

In realtà il sogno di Wendy è però quello di fare la scrittrice di sceneggiature, attività per la quale ha effettivamente un talento fuori dal comune; in particolare Wendy è un’esperta e appassionata della saga televisiva di Star Trek (chi guardava la TV negli anni 80, come la sottoscritta, sa di cosa si parla….”Lunga vita e prosperità“).

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Guarda caso la Paramount ha indetto un concorso per sceneggiatori di questa saga e Wendy, ovviamente prepara il suo copione perché intende partecipare; tuttavia nessun sogno è facile da realizzare e mille ostacoli si frappongono fra lei ed il suo obiettivo.

Il film è il racconto di un viaggio; quello che Wendy intraprende per arrivare di persona a Los Angeles e consegnare il suo copione presso la sede della Paramount. Non aggiungo altro, altrimenti vi spoilero tutto il film, soprattutto la parte più gustosa in termini emotivi, ovvero il vero motivo affettivo che spinge Wendy a partire.

Ora, forse non tutti sanno che cos’è l’autismo, o “lo spettro autistico”. Per chi lo sa, questi capirà che per una ragazza che ha questo tipo di problema, un viaggio da sola e al di fuori della sua rassicurante cerchia e routine quotidiana, è molto simile a una spaventosa Odissea, e tutti sanno che le odissee sono sempre affascinanti, a prescindere dall’eroe che le compie e dalle prove che deve affrontare.

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Bob Dilan di Dave Mckean

Ma forse, per potersi davvero godere il film, bisognerebbe prima sapere qualcosa in più in merito all’argomento cardine.

Se vi va, senza indugiare troppo sui dettagli (Wikipedia rende una spiegazione abbastanza chiara), qualcosa ve lo racconto io.

In realtà e volendo essere onesta fino in fondo, vi parlo di questo film usandolo come pretesto, lo confesso, per divulgare un po’ di conoscenze in merito al problema, perché è importante che quante più persone possibile siano informate a tal proposito, visto che, tra l’altro, potrebbe capitare a chiunque di averci a che fare.

E se succedesse, sarebbe bello riuscire a mettere in atto l’approccio più “adatto” per affrontarlo e viverlo nel modo “giusto”… se esiste un modo giusto.

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Alfred Hitchcock – foto da Pinterest

Parlare di autismo significa parlare di “disturbo dello spettro autistico”; ciò significa che vi sono molti tipi di autismo, alcuni molto gravi e altri che si manifestano in forma più leggera. La forma di autismo della quale soffre Wendy rientra fra queste ultime; diciamo che lei è relativamente fortunata ed è riuscita con la terapia a gestire la sua condizione con un successo notevole.

Lei riesce, anche se con difficoltà, a condurre un’esistenza che le permette di lavorare e di relazionarsi con le altre persone, ma lo fa ovviamente nel suo modo speciale; è un modo che per molti versi accomuna chi soffre di questa condizione. Tuttavia le caratteristiche che accomunano le persone autistiche, non sono la regola; voglio dire che vi sono degli aspetti che accomunano i vari tipi di autismo e altri che possono verificarsi solo in singoli casi. Spero di riuscire a spiegarmi…

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Michelangelo Buonarroti (1475-1564) – immagine da Pinterest

L’autismo del tipo di cui è colpita Wendy, così come l’autismo in generale, è infatti un modo diverso di “sentire”, percepire la realtà; un modo che spesso isola involontariamente chi lo vive, suo malgrado e malgrado chi lo circonda. Sia chiaro, non è come vivere in una bolla, è però un modo diverso di percepire il mondo; parlo di percezioni fisiche ed emotive e “particolari” che le  persone non autistiche difficilmente sanno comprendere, per via di un motivo semplice: non le hanno mai provate. Così come le persone autistiche non hanno mai provato sensazioni ed emozioni così come le vivono le persone non autistiche, senza però voler generalizzare troppo.

Questo aspetto, giocoforza, crea delle barriere, ma sono barriere attraverso le quali c’è modo di far filtrare, in un senso e nell’altro e seppure spesso con alcune difficoltà, la presenza, il cuore, la persona, lo spirito che anima ogni essere umano. Può sembrare ostico, e lo è. Per capire occorrerebbe maturare una notevole dose di empatia, ma soprattutto occorre avere le informazioni corrette.

Molti bambini o ragazzi, o adulti che soffrono di forme più gravi di autismo non riescono ad arrivare ai risultati di Wendy e per loro la relazione con l’altro e con il mondo è un problema immenso.

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Vincent Van Gogh – foto da Pinterest

Tuttavia non bisogna pensare che l’autismo sia una condizione immutabile; con le dovute terapie può migliorare e negli ultimi anni è stato fatto, e si sta facendo molto in tal senso. Quantomeno se ne parla (qui c’è un video che vi consiglio davvero di vedere fino alla fine) ed il fenomeno viene studiato in più larga scala.

Si sta facendo più di quanto si faceva negli anni 70 o 80, perlomeno, quando ancora non era stato diagnosticato.

Però sia chiaro che ancora rimane molto da fare, che molta ignoranza permane e dilaga, con tutto il male che ciò comporta. Per questo vi parlo di queste cose, perché l’ignoranza va colmata ed il male dato da discriminazione, chiusura e incomprensione nei confronti del diverso va messo al muro, sempre e in ogni caso; è una questione di civiltà e di giustizia.

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Albert Einstein – foto Pinterest

I progressi avuti negli ultimi decenni sono dovuti anche al fatto che la diagnosi precoce  dei bambini autistici è in crescita, e di conseguenza crescono i casi, e non solo nel mondo industrializzato, come dice qualcuno. Oltre alle cause di natura genetica (una minoranza) esistono cause ambientali; a detta di alcuni pare che le cause siano da ricercare nello stile di vita o nei prodotti industriali che vengono utilizzati o assimilati, sia in termini farmaceutici che alimentari, ma se è vero che l’autismo si manifesta ancor prima della nascita, anche queste affermazioni, a dir poco, vanno prese con le pinze; ad oggi pare non siano ancora state individuati fattori di causa assoluti.

L’ aspetto relativo agli studi sulle cause richiederebbe un post a parte, perché a tal proposito ci sono una moltitudine di ipotesi più o meno documentate e comprovate che, fra le altre cose, vanno a toccare interessi e ambiti differenti, e occorre dedicarvi il dovuto spazio e la dovuta attenzione. Lo farò più avanti, anche per capire un po’ che cosa ne pensate voi. Vi lascio dei link su cause, diagnosi e trattamento che indirizzano a dei video che possono aiutare a capire meglio anche le diverse posizioni a tal proposito.

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Isaac Newton – illustrazione di João Vaz de Carvalho

Per ritornare al nostro film, vi ricordate il famoso “Uomo della pioggia” o “Rain Man”, diretto da Barry Levinson (che con questo film ha vinto l’Oscar) e interpretato da Dustin Hoffman e Tom Cruise? Ebbene, i due film, questo e “Tutto ciò che voglio”, hanno in comune molte cose, anche se il calibro degli interpreti non pone possibilità di confronto, a parer mio… ma posso anche sbagliare, non sono una critica cinematografica, per fortuna. Rain Man è il film che in assoluto viene preso più spesso ad esempio del problema, visto il suo successo, infatti trattandosi di un problema complesso, è molto difficile parlarne con esempi efficaci.

Anche il personaggio di Rain Man soffre di una forma di autismo. Ora, ciò che senz’altro colpisce di più l’immaginario collettivo nel personaggio di Dustin Hoffman, oltre alla sua estrema sensibilità (altra caratteristica peculiare), sono le sue abilità mnemoniche in termini visivi, di concentrazione e di calcolo; prestazioni in tali ambiti che nel personaggio si manifestano  ben al di sopra di qualsiasi media!

Forse alcuni sanno che Rain Man esiste davvero, ed il film si è ispirato a Kim Peek un allora ragazzo, affetto da sindrome di savant. La sindrome di savant non rientra fra lo spettro autistico, è qualcosa di diverso ancora e magari anche di questo si potrà riparlarne. Non tutti coloro che soffrono di questa sindrome sono anche autistici, ma molti lo sono. Kim è diventato una leggenda grazie al film.

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Kim Peek in primo piano con suo padre

Anche la protagonista di “Tutto ciò che voglio” ha una dote innata, che è un po’ anche la sua ossessione, come abbiamo visto; Wendy scrive splendide sceneggiature di Star Trek.

Non sempre, ma spesso, sia l’ossessione per un argomento preciso al quale dedicano molto del loro tempo, che un talento al di sopra della media in uno o più ambiti particolari, sono due caratteristiche che contraddistinguono queste persone. Queste, insieme all’ipersensibilità nei confronti di rumori troppo forti, di vestiti troppo stretti, di odori particolari, di luci troppo intense… e di un sovraccarico di stimoli sensoriali ed emotivi in generale. Credo che per queste persone i boschi siano terapeutici.

Quindi chi è autistico non ha vita facile, per niente, ma alcuni di loro hanno anche dei veri talenti che la maggior parte delle altre persone non ha; questa non è una consolazione, ma è un dato di fatto e in alcuni casi, come nel caso reale di Kim, permette loro di lavorare e condurre una vita dignitosa, seppur costellata da mille incognite per il futuro e altrettante difficoltà quotidiane. Non va sempre così, purtroppo, e in alcuni casi le difficoltà superano di gran lunga le soddisfazioni che questi talenti (spesso ossessivi) possono produrre, caricando le famiglie di tutto ciò che questo comporta. Ed è necessario prendere coscienza del problema affinché proprio a queste famiglie la collettività dia un supporto concreto.

Non so se avete mai sentito parlare della Sindrome di Asperger… anche questa è una forma dello spettro autistico; viene definita ad “alta funzionalità”, e per molte caratteristiche potrebbe contraddistinguere anche il personaggio di Wendy. Si pensa che tutti i personaggi famosi di cui ho inserito le immagini in questo post (forse anche Spok)  fossero Aspie, ovvero avessero la Sindrome di Asperger. NOn è una patologia, è solo un modo di essere, di percepire la vita.

Se non ne avete mai sentito parlare e siete interessati all’argomento, mi piacerebbe parlarvene più avanti.

Nel frattempo, auguro a tutti voi un sincero Buon Natale!

Per questo post ringrazio Wikipedia e tutte le fonti video prese da YouTube e Pinterest.

Leningrad Cowboys go America

Quando ci sono giorni come questi dove la gente comincia a dedicarsi alle feste più o meno comandate e un po’, lo confesso, mi deprimo nell’osservare le corse pazze da un negozio all’altro, beh mi dedico a cose che mi distraggono piacevolmente e fra queste c’è “un cinema di un certo tipo”.

Quando la tristezza data dall’assurdità del mondo reale comincia a fare capolino, mi cerco un film che mi metta di buon umore; è un modo per resistere al nulla delirante del quotidiano anche questo.

E Leningrad Cowboys go America è fra i miei preferiti, assieme al seguito di cui parlerò più avanti. E’ uno di quei film che non mi stanco mai di rivedere. In realtà amo un po’ quasi tutti i film di Aki Kaurismäki, ma questo, girato nel 1989, è veramente fra quelli che ritengo essere un capolavoro.

Racconta il viaggio di una band che dalle steppe della Russia va a cercare fortuna in America. Il film, tanto per darvi un piccolo assaggio della trama, ha inizio con il congelamento del loro bassista, rimasto tutta la notte prima della partenza a provare all’aperto e che i compagni al mattino trovano rigido e congelato come uno stoccafisso. Se lo porteranno dietro per tutto il viaggio, rinchiuso in una bara che useranno anche per tenere al fresco le lattine di birra.

Il look della band è forse un po’ una parodia del mito rock americano calato in un contesto completamente altro: la tundra russa. Ciuffo cotonato, completo scuro con cravatta e occhiali neri alla blues brothers, stivaletti in cuoio che riprendono la forma esasperatamente allungata e appuntita del ciuffo. Il look del gruppo risulta di per sé assurdamente ironico e divertente. Ed il fatto che mai, ma proprio mai i personaggi tralascino di sottolineare inevitabilmente le loro origini, nonostante gli sforzi del loro terribile manager per americanizzarli il più possibile per motivi commerciali, rende il tutto estremamente tragicomico.

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In realtà, a ben vedere la storia, non vi è nulla di più tragico e malinconico della sorte di questi eroi, decisi ad emigrare per cercar fortuna e ad esibirsi tentando di adeguare di volta in volta la loro musica per farsi accettare da un pubblico straniero; il ruolo dispotico e disonesto del loro manager che li sfrutta fino a portarli ad un ammutinamento, rende la storia assolutamente esilarante.

Fantastica è l’interpretazione di uno degli attori preferiti da Kaurismaki, ovvero Matti Pellonpää che interpreta proprio il ruolo del manager del gruppo.

Il seguito di questo film è Leningrad Cowboys Meet Moses che mi riservo di raccontarvi più avanti, perché è superfluo dire che a parer mio, esattamente e forse più del primo, vale assolutamente la pena vedere.