Racconto di Dino Buzzati
Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato gran che le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante, ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, seppur minore, il cosidetto Bosco Vecchio, era stata completamente rispettata. Là c’erano gli abeti più antichi della zona, e forse del mondo. Da centinaia e centinaia d’anni non era stata tagliata neppure una pianta. Al colonnello era appunto toccato in eredità il Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno.
Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiarare monumento nazionale.
Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarono, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori.
Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia augurale, un oratore disse:”…è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti, ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita.