Le fiabe che insegnano a non avere paura

Uno dei post che vengono più letti in questo blog è l’analisi della fiaba annoverata fra le raccolte di Italo Calvino: “Giovannin senza paura”; postato in tempi non sospetti nell’ambito di un progetto che poi ho lasciato in sospeso, come ho lasciato in sospeso tanti altri più per mancanza di energie, che per mancanza di tempo; l’ho scritto oramai qualche anno fa, neanche avessi avuto le premonizioni profetiche forse sulla scia di quel subconscio collettivo di cui parla Jung.

A dimostrazione che le fiabe, e in particolare quelle raccolte da Italo Calvino, hanno un substrato archetipale che non si smentisce. Per chi avesse la pazienza di leggerlo lo trova qui:

https://elenagozzer.wordpress.com/letteratura/italo-calvino-fiabe-italiane/giovannin-senza-paura/

IN questi ultimi anni, se n’è parlato un sacco di questo argomento, se non altro perché non sono stati anni propriamente allegri e facili per nessuno. Eppure c’è stato chi li ha saputi vivere in modo relativamente sereno, nonostante tutto. Ci sono stati molti Giovannin senza paura che hanno saputo giostrarsela al meglio, nonostante tutto e hanno affrontato le varie situazioni molto meglio rispetto alla maggior parte della popolazione.

Non è un argomento facile, perché ci siamo ancora dentro ed i vari allarmismi vengono rinnovati costantemente senza lasciare tregua, tanto che non si capisce bene se si deve temere l’allarme oramai passato, quello più in voga nel presente, o quello che sta per arrivare; a dimostrazione che i media ufficiali stanno facendo un ottimo lavoro. Mi sono chiesta perché c’è stata gente che non si è fatta travolgere da questi timori, per non dire “terrori” diffusi. Mi sono chiesta chi sono quelli che sono riusciti a focalizzarsi sulla realtà senza per questo farsi travolgere dall’illusione terrificante che veniva (e viene) sparsa da ogni canale ufficiale e meno ufficiale.

Mi sono data la seguente risposta: c’è chi da oramai molto tempo, segue poco i media ufficiali e predilige informarsi attingendo da fonti alternative che oggi sono alla portata di tutti grazie al web; questo ha permesso a molti di rendersi conto per tempo che molte notizie erano da prendere con le pinze e avevano risvolti dubbi, per non dire del tutto fuorvianti. Avendo un termine di paragone fra ciò che veniva ampiamente diffuso e ciò che leggevano sul web, molti hanno coltivato un sano DUBBIO.

Una serie di considerazioni a catena potevano quindi fare molto semplicemente rendere conto le persone che non c’era da aver paura, che la situazione poteva essere affrontata e risolta, PERCHE’ AVEVANO GLI ELEMENTI, LE INFORMAZIONI UTILI PER ARRIVARE A QUESTE CONCLUSIONI. In questo caso la paura è stata prontamente sostituita dal ragionamento ed il condizionamento mediatico è stato messo sotto controllo. Rimaneva però il condizionamento sociale… e quello rimane tutt’ora. E di quest’ultimo non ci si libera in modo razionale; occorre una valutazione a parte per questo aspetto.

Ma rimanendo sul condizionamento mediatico, il punto è che queste fonti alternative sono alla portata di tutti, lo sono sempre state, e allora mi sono chiesta perché la maggior parte delle persone non ne fa uso, non attinge a informazioni alternative che consentono di leggere la realtà avendone un quadro più completo, perché corredato da informazioni aggiuntive che vanno a riempire quei vuoti lasciati (più o meno volutamente) aperti dall’informazione ufficiale? Mi sono chiesta, perché pur potendolo fare, la gente non si informa? Perché preferisce farsi travolgere da notizie catastrofiste e di conseguenza dalla fobia di essere di fronte a un problema che non ha nessuna soluzione se non quella estrema, di solito proposta con forza da chi ha sparso il terrore? Ecco, mi sono chiesta questo, perché non è difficile informarsi, trovare soluzioni alternative e validissime e non richiede nemmeno tantissima fatica.

Subire la paura, richiede molte più energie! Farsi accomunare e fagocitare dalla propria paura e dalla paura collettiva, a una visione distorta del reale risucchia molte più energie, perché è fonte di ansia, di agitazione, di emozioni negative; e allora perché non tendere a una soluzione più semplice e meno dispendiosa di energie? Mi sono detta che ad un certo punto, non si tratta di pigrizia, anche se ci potrebbe stare! Ma non basta per spiegare quello che sta succedendo! Penso si possa anche parlare di un effetto secondario che è l’incapacità di connettere; uno degli effetti della paura è quella di spegnere il ragionamento razionale e mettere in campo il meccanismo di “attacco – fuga”, ovvero i due meccanismi più irrazionali, atavici, quelli che la nostra parte animale innesca ogni volta che siamo messi di fronte a un pericolo reale, come un grosso cane randagio che ci salta addosso e vuole fare di noi il pranzetto del giorno, per dirne una. Il punto è che a monte, va distinto bene se il pericolo E’ REALE O MENO!

E’ questo che è venuto a mancare e che continua a mancare. E per capire se il pericolo è reale o meno, occorre per forza di cose saper spegnere prima la paura, ma se questa è già stata innescata, è troppo tardi, perché il terrore è già stato diffuso ad arte; la conferma del fatto che il pericolo è reale viene dato dagli altri, da tutti gli altri che temono lo stesso pericolo. E’ la dinamica che si viene a creare nel gregge quando durante un temporale notturno, una delle pecore si spaventa a causa del tuono e dei lampi e si mette a correre; tutte le altre pecore la seguono, non sapendo bene il perché, magari, ma in via preventiva la seguono. Se poi in televisione continuano a dire che è bene mettersi a correre, si corre e punto. E guai a chi dice che correndo di notte sotto un temporale è facile finire in un burrone!! Quello è un pazzo, perché se tutti corrono è bene correre, se la televisione di ce che si deve correre, è bene correre e chi non lo fa è un pazzo, perché si espone al pericolo.

Al mattino presto è facile che le pecore siano tutte morte, perché sono finite nel burrone. L’unica pecora che HA PENSATO di non correre perché si poteva finire in un burrone, è sopravvissuta. E’ la pecora che ha saputo valutare se il pericolo dei tuoni e dei lampi era reale o meno e se non vi fossero forse altri pericoli più contingenti in agguato. E’ questa la storia. Chi raccontava le fiabe un tempo queste cose le conosceva bene, purtroppo adesso le fiabe sono state sostituite dai televisori e quelli raccontano altre storie, che a differenza delle storie di una volta, non hanno più niente da insegnare, se non come si fa a buttarsi in un burrone.

Dell’insondabile e incerto ponderare fra le nebbie

Oggi ho avuto il sentore che dalle nebbie sulle creste delle montagne e fra i muschi dei sottoboschi nelle giornate di pioggia, nascono le favole e forse i miti più belli e intramontabili. E mi pare sempre, camminando fra le nebbie che scendono repentine dai versanti, che l’indefinito delle forme mi rassicura e mi calma, perché nell’incertezza del visibile che muta, si nasconde la possibilità per gli elementi di essere ogni volta altro per i nostri sensi.

E sto fatto mi conferma quanto sia vero che ciò che noi riteniamo essere reale, non è altro che una proiezione che la nostra coscienza ci rimanda di ciò che viviamo.

Quando non vi sono certezze, a molti nasce e cresce l’ansia, mentre a qualcun altro, come accade a me, vien da sorridere, perchè nell’incertezza, nelle sfumature di quei grigi azzurri saturi d’acqua sottile, si nasconde l’imponderabile, la magia dell’inconoscibile, delle possibilità di fantasie e percezioni infinite.

Credo che le favole più belle ed i miti intramontabili debbano molto alle nebbie, ai veli d’incertezza, alle coltri grondanti di insondabili verità. O forse è al non precludersi nessun tipo di spiegazione quando si è messi di fronte alla magnificenza dei fenomeni più inspiegabili di cui la Natura, spesso, ci fa dono, che dobbiamo la nascita dei racconti più avvincenti che hanno resistito nei secoli.

Certo, conoscere il sentiero e la direzione garantisce una certa tranquillità d’animo che altrimenti sarebbe ben difficile preservare, mi rendo conto. Nel caso specifico sapevo dove mi trovavo e dove stavo andando, quindi potevo abbandonarmi ad elucubrazioni distanti dalle contingenze più pratiche, come potrebbe essere quella di evitare di finire in un crepaccio, per dirne una.

Non lo so, però a me piace immaginarmi il mondo che da lassù si intravede fra un banco di nebbia e una nuvola pesante d’acqua, quando capitano giornate come questa. Le nebbie stimolano l’immaginazione. Penso sia un fattore tipicamente umano, quello di voler dare un contorno definito alla realtà quando questa sfugge ai sensi, intendo.

Solo che da un po’ di tempo trovo questi tentativi di istintiva razionalizzazione un po’ fuorvianti, perché non son mica tanto sicura che ciò che la mia mente completa in autonomia con un processo di definizione automatica produca effettivamente la realtà. Forse ne produce una delle tante possibili…

Va da sé che se il gioco delle correnti all’improvviso solleva il sipario, assisto il più delle volte alla famosa situazione che vede la realtà superare in magnificenza, e di gran lunga, la fantasia.

Credo che se mai un giorno arriveremo a dare delle risposte alle solite domande fondamentali che ci poniamo dall’alba dei tempi, dovremo prepararci a qualche cosa di simile,  a qualcosa che ci lascerà senza fiato… letteralmente. 😆

La Morte e il Boscaiolo

da Favole di Jean de La Fontaine

Sotto un fastel di legna, non men che sotto il peso

degli anni, un Boscaiolo, curvo,accasciato e stanco,

andava a trascinando il doloroso fianco

verso la sua capanna.

Ma tanto è il male e il peso che il poverin affanna,

che posto in terra il carico, a dire cominciò:

– Qual dura sorte in questo mondo sconclusionato il cielo mi serbò!

Sempre con il pane in lite per il soprammercato

la moglie, i figli, i debiti, le tasse e l’angherie

che fanno a un pover’uomo la vita irta di spine.

O Morte, a questi mali poni un rimedio e un fine –.

La Morte, che non usa farsi aspettare giammai,

vien subito e – In che cosa, – esclama, – o buon fratello,

posso giovarti? – O grazie, soltanto ti chiamai,

perché mi aiuti a reggere questo fardello – .

È la morte un gran rimedio

a chi è stanco di soffrir.

Sarà ver, ma piace agli uomini

più soffrir che morir.