Iscrivetevi al mio corso di procrastinazione

la procrastinazione, come ben sappiamo, è quel momento reiterato infinite volte nel quale faresti qualsiasi cosa pur di non fare l’unica cosa che dovresti fare subito. Io sono una maestra di procrastinazione; se qualcuno ha bisogno di lezioni, sono disponibile a titolo gratuito. Lo faccio per il bene dell’umanità, davvero!! Mi sono resa conto che a volte, pur di procrastinare una certa cosa, mi metto a farne altre che avevo procrastinato molto prima… e così alla fine, prima o poi faccio un po’ tutto quello che avrei dovuto fare in passato, in sostituzione di ciò che dovrei fare subito.

In qualche momento critico (sapete no, quei momenti dove l’educazione crukka risveglia da qualche parte nel mio io dei flebili lembi di responsabilità), ho voluto capire da dove viene questa mia vocazione a procrastinare. E’ stata una ricerca patetica, perché in definitiva non me ne frega niente da dove viene, perché a me sta bene così. Ho finto di giustificarmi raccontandomi che lo faccio apposta, perché mi devo ribellare a tutte quelle figure autoritarie che hanno costellato la mia vita fin dalla più tenera infanzia, così scodello le mie responsabilità ad altri e posso crogiolarmi nella mia inettitudine quando si tratta di ottemperare a delle scadenze. Il punto è che so benissimo che me la sto raccontando e non funziona; io procrastino perché ho la vocazione all’auto sabotaggio e non la ritengo essere un’inettitudine; per me è un talento!!

Sono la classica persona che a scuola si sentiva dire che “sa le cose ma non si applica…”, oppure quella che “ha grandi potenzialità, ma è pigra…”; dite la verità: quante volte le abbiamo sentite queste “considerazioni” quando andavamo a scuola?! Onestamente io penso che procrastino quando mi annoio, quando manco di stimoli, quando sono satura di routine e manco di motivazione e tutto questo è tipico di un ambiente scolastico. Poi, se una si trova a crescere in un ambiente così, facile che procrastinare diventa un’abitudine, un modo di essere.

Sono giunta alla conclusione che il mio auto sabotaggio è dato dalla totale incapacità di auto motivarmi. IN realtà è una mezza verità anche questa; io so auto motivarmi, solo che il più delle volte non c’ho voglia di farlo. Ecco, a questo punto focale ci arrivano tutti i procrastinatori veramente onesti, prima o poi, ed è questo il motivo che spinge molta gente a comprare pile di libri di auto aiuto e a seguire i più disparati corsi motivazionali. Vanno molto di moda queste attività in quest’epoca di noia profonda e una delle professioni che rende meglio oggi è quella del coach, di quel personaggio che ti aiuta a motivarti, insomma. Serve a raccontarsela dando una parvenza di impegno serio.

Ci avete fatto caso? Ci sono coach spirituali, coach per raggiungere la forma fisica, coach per imparare a mangiare bene o a digiunare, coach per imparare a parlare in pubblico, coach per imparare a fare qualsiasi cosa che da soli non riusciamo a fare perché sostanzialmente non ne abbiamo la minima voglia. In realtà non ci riusciamo nemmeno se ci affidiamo a questi coach, ma almeno possiamo dire di averci provato. Farsi aiutare per fare delle cose che non ci va di fare, solo perché sappiamo che andrebbero fatte, è uno dei business del momento. Dura da parecchi anni oramai, e se non sapete come reinventarvi professionalmente, vi consiglio di fare i coach, a meno che non siate dei procrastinatori, perché allora non funziona.

Ho deciso che da oggi faccio solo quello che mi va di fare, quando mi va di farlo, ma mi sono data una regola semplice: ogni giorno devo fare almeno tre cose che mi piace fare e posso scegliere cosa e come farle, a prescindere se sono o meno urgenti. Questa è la mia strategia per ovviare alla procrastinazione; procrastinando le attività più urgenti, mi occupo delle attività meno urgenti, ma almeno faccio qualcosa. Inevitabilmente le attività che oggi sono urgenti, domani diventano urgentissime e se ne aggiungeranno altre di urgenti. Quando qualcosa mi infastidisce molto perché sta diventando davvero urgente, di solito provo un sottile piacere ignorandola e occupandomi delle attività meno urgenti, così gratifico il mio spirito infantile e ribelle che non sopporta le coercizioni e le forzature dittatoriali e totalitarie. Lo so, sono profondamente infantile.

Mi racconto che “me ne frego” e “faccio solo quello che mi va di fare…” e prima o poi, quello che è davvero urgente viene sostituito da altre urgenze e così mi dedico anche alle cose che ieri erano urgentissime, ma che oggi sono diventate meno urgenti, perché oramai è passato troppo tempo, ed è tardi, e che ci vogliamo fare?! Quindi queste vecchie urgenze possono essere prese in mano e affrontate. A volte prendo in mano le cose quando è davvero palesemente troppo tardi; in questi casi la soddisfazione è doppia, perché riesco a riesumare qualcosa che oramai è andata quasi irrimediabilmente persa e la rendo attuale, la rimetto a nuovo, conferendole una nuova urgenza sufficiente per ridarle dignità e considerazione sufficienti per essere sbrogliata. Purtroppo alla fine non è mai davvero troppo tardi e tutti i problemi, con un po’ di inventiva, trovano una soluzione, spesso ottimale.

E’ molto simile a quelle situazioni dove il protagonista del film, ovvero l’eroe della storia se si tratta di un romanzo, sta per perdere tutto e si trova in una difficoltà apparentemente irreversibile e invece poi arriva il colpo di scena e TRAKKETE!! Tutta la situazione si ribalta e le cose riprendono ad andare bene e c’è sempre il lieto fine, o quasi sempre. Tutto grazie a un po’ di fortuna e alle non indifferenti capacità di problem solving del protagonista. E più è incasinata la storia e più sono immense le difficoltà è più è bello il film, o il romanzo, perché un’esperta di procrastinazione è inevitabilmente anche un’esperta di problem solving; non ci si scappa! Perché? Perché risolve i problemi ordinari sommati ai problemi che si è creata da sola procrastinando.

Comunque vada a finire, la mia tesi che noi procrastinatori, procrastiniamo essenzialmente perché la vita a volte ci appare noiosa e frustrante, torna. In questo modo rendiamo le nostre vite adrenaliniche, ci portiamo su un costante orlo di disperazione apparentemente senza ritorno, per poi darci il classico colpo di pinna, o di coda, per risalire la china, o dal fondo, ancora e per l’ennesima volta e sentirci finalmente di nuovo vivi e capaci!! The end…lieto fine, o comunque fine di un capitolo e avanti il prossimo! A volte i lieto fine non arrivano, ma anche il saper incassare i colpi fa parte della vita, anche i romanzi che finiscono male sono avvincenti, no?!

Vista in quest’ottica, ho pensato addirittura che la procrastinazione salverebbe il mondo dalla noia dilagante, che forse è il vero male di questo tempo (altrimenti non si spiegano tutte queste schiere di masse umane da divano televisivo) ammesso che si riesca a dare quel famoso colpo di pinna o di coda per riassestarsi e andare avanti, prima di soccombere totalmente. Ma se anche si soccombesse, almeno non si è morti dormendo sul divano, ecco. Perché la prima regola del procrastinatore è vivere in un’ansia perenne. Un’ansia adrenalinica che ti porta a non dormirci la notte; altro che divano!! Occorre però avere un certo intuito in merito a quanto ci si può spingere oltre senza per questo precipitare nel baratro senza possibilità di ritorno.

Qualcuno mi direbbe: ma la vita di suo ci mette già abbastanza alla prova, senza che noi ci mettiamo del nostro per rincarare le dosi ansiogene, no?! E’ vero; ma se siamo noi a metterci in palese difficoltà abbiamo l’illusione di poter controllare anche gli eventi avversi; “In fin dei conti queste situazioni me le sono create io!!”, potremmo dire. Ci illudiamo di poter controllare tutto, insomma, anche le peggiori eventualità, quelle più drammatiche e disastrose (perché lo sappiamo tutti che se noi non ci occupiamo attivamente dei problemi, prima o poi i problemi si occuperanno attivamente di noi e allora saranno cazzi…) e in tal senso la procrastinazione è anche un sintomo secondario di una perversa mania di controllo.

Non vorrei dirlo, ma c’è anche la possibilità che chi procrastina sia affetto da una certa insicurezza nei confronti della vita in generale, o viceversa, si sente fin troppo sicuro di poter risolvere tutto; in entrambi i casi, è patologico! Ma che cosa c’è di non patologico oggi?! Mania di controllo, sì, perché altrimenti non avrebbe bisogno di continue conferme create a doc e per dimostrare a se stesso “di potercela fare sempre”! Ma diciamocelo, alzi la mano chi di noi, oggi, è sicuro al cento per cento di potercela fare sempre e comunque in ogni occasione?! Eh? Ci vuole molto, molto molto coraggio oggi, per poter dire una cosa del genere. Nessuna sicurezza, nessuna certezza, nessuna rassicurazione (tutt’altro…fanno di tutto per spaventarci a morte!!). Ma se ce la fai, accidenti…beh, sei o non sei un’eroe?!!

Bene, a tutti quelli che se la stanno facendo sotto perché la vita è brutta e cattiva, io non propongo un percorso di auto motivazione e di stima di sé; io vi propongo un corso accelerato di procrastinazione. E’ come una scuola d’addestramento durissima, perché se ne uscite vivi, se riuscite a superare le difficoltà che riuscirete a crearvi da soli, procrastinando le urgenze urgentissime fino al limite estremo, e infine risolvere tutto con immani e dolorose difficoltà, poi non vi spaventerà più nulla!!!! Fatemi sapere se siete interessati e contattatemi pure; risponderà la segreteria e prima o poi vi richiamo.

L’alternativa è frequentare un noiosissimo e interessantissimo corso dove un noiosissimo coach ti insegna ad essere una persona responsabile e matura, che fa sempre le cose che deve fare nel modo giusto e al momento giusto; avrete finalmente una vita comoda, lineare e apparentemente priva di difficoltà, ma sarete estremamente annoiati dall’ordinario e dal quotidiano che, comunque sia, sarà sempre delirante; non illudetevi. Continuerete ad avere paura e continuerete a non sentirvi al sicuro, perché l’addestramento, quello vero, non ve lo avrà fatto fare nessuno!! Nessuno può sfuggire a se stesso e alle proprie paure, a meno che non faccia qualcosa per affrontarle, sempre e ogni giorno. Non si scappa, nemmeno se si è molto ben organizzati e ligi al dovere, ho pensato; però mi piacerebbe sapere come ci si sente a fare una vita da persona responsabile e matura, per una volta. Così, per provare un’esperienza nuova. In un’altra vita… magari.

Le erbe selvatiche mi hanno salvato la vita

Non sto esagerando; a me le erbe selvatiche hanno salvato la vita, perché funziona così, a volte: tu ti appassioni a qualcosa proprio quando stai per toccare il fondo; poi quella passione ti permette di darti una piccola spinta e piano, piano ti vedi risalire, per riprendere lentamente in mano le cose essenziali che negli anni avevi disimparato a focalizzare; sono le stesse cose, gli stessi dettagli spesso imperscrutabili che alla fin, fine fanno davvero la differenza. E ti salvi, per ricominciare a vivere.

Penso che molta gente oggi si lascia morire perché non ha più passioni, o non le ha mai avute, o non le ha mai conosciute perché era distratta da altro. Ebbene, le erbe selvatiche possono salvare la vita a qualcuno e io ne ho le prove; e non sono efficaci in questo solo come una passione che fa rinsavire un’animo spento, ma anche come un concreto aiuto per la salute del corpo, oltre che dello spirito. Le erbe, le piante in generale sono un mistero, un mondo magico che mi ha sempre lasciata senza fiato, perché si rivela ogni volta strabiliante e incredibile!

Mi cadde una foglia d’acero in mano tanto tempo fa; ero un’adolescente spaventata e incerta. Mi trovavo in un prato a lavorare il fieno. Ero concentrata sul lavoro, immersa nei miei dubbi, nelle mie paure. La vidi scendere a una decina di centimetri dai miei occhi e l’afferrai per il picciolo con due dita; era strano, perché avevo le mani occupate dagli attrezzi da lavoro, eppure riuscii ad afferrarla. Un gesto istintivo. Accadde così, come in una scena a rallentatore, come se fosse stato un gesto scontato e invece la precisione e la sincronicità con le quali avvenne il tutto, mi resi conto che furono qualcosa di assolutamente improbabile. No non era scontato che si potesse verificare una cosa simile, mi dissi. Eppure avvenne così. Osservai quella foglia a lungo, guardai in alto e mi chiesi da dove venisse, visto che non mi trovavo ai piedi di un acero; ero nel bel mezzo di un grande prato.

Era verde, fresca, con il picciolo rossiccio. Perfetta. Combaciava fino al millimetro con il palmo della mia mano sinistra. Era estate, non avrebbero dovuto cadere le foglie fresche in quella stagione e non c’era vento. Mi chiesi il perché accadde. Io mi chiedo sempre il perché; sempre. Ma non capii, non ero pronta per capire, ancora. Ma la cosa mi emozionò e non mi dimenticai mai più di quella foglia. Non la conservai, perché non sapevo dove metterla e dovevo lavorare; mia madre non era molto felice dei miei momenti di “imbambolamento” come li chiamavano in famiglia, soprattutto se c’era da lavorare.

In seguito decisi di dare un significato a quella foglia; decisi che significava che io dovevo fare un lavoro che avesse a che fare con le piante, con i boschi. Decisi che avrei fatto un lavoro nei boschi, e fu così per venti lunghi anni, ma questa è un’altra storia.

Oggi ho smesso di fare quel lavoro, perché mi stava spegnendo e non ero più una persona libera. Oggi invece frequento i boschi quotidianamente da persona libera e mi viene il dubbio che quella foglia volesse dirmi solo questo; “non allontanarti dai boschi”. Non era necessario lavorarci; bastava frequentarli come faccio adesso e mi sarei sentita felice. Infatti se c’è un luogo dove sto sempre bene è proprio nei boschi, o in cima a una montagna. Sempre, anche nei momenti peggiori, io lì riesco a stare bene. L’ho scoperto dopo anni, che quella foglia voleva dirmi solo questo. A volte le cose più ovvie e semplici sono le ultime che vediamo. Le erbe selvatiche ci insegnano questo; a vedere esattamente quello di cui abbiamo bisogno e di volta, in volta capire che strade prendere. E’ così che ci salvano la vita.

Un mese fa ero sdraiata in un prato dove crescevano i tarassachi e le orchidee selvatiche e con la coda dell’occhio osservavo un cardo mariano rimasto in piedi, secco e sgraziato, reduce da un inverno che non lo aveva prostrato a terra. Il cardo mariano, se non lo sapete, è una di quelle piante che davvero può salvarci la vita. E questa storia, ve la racconto sicuramente, ma un’altra volta.

Il cuculo ha deposto l’uovo… e mi chiedo perché nessuno degli altri uccelli si lamenta

Il titolo del famoso romanzo di Ken Kesey, nonché dell’omonimo film con Jack Nicholson “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, è sbagliato. Il cuculo non ha mai fatto il nido. E di conseguenza nessuno può essere volato sul nido del cuculo. Che Kensey lo abbia fatto apposta? Non lo so.

Ma sta di fatto che accadono queste cose in natura; accade che un uccello deponga il suo uovo in un nido di altri uccelli. E così non ha nemmeno fatto la fatica di costruirsi un nido, ma soprattutto non farà la fatica di crescere la prole. Il cuculo depone un solo uovo, di solito ben più grosso di quelli che già stanno nel nido. Il cuculo qui da me è sempre ben presente. Lo sento cantare e fare i suoi versi un po’ ridicoli nelle fasi primaverili di corteggiamento. Lo sento quando è in esplorazione per decidere quale sarà la casa del suo uovo abusivo. In primavera qui mi sveglio fra il canto delle cince, dei codirossi e del cuculo; ci sono anche le ghiandaie e il picchio verde. Quest’ultimo si fa sentire spesso con la sua risata sguaiata. Meno melodiosa del canto del cuculo, ma a me piace. Mi sta un sacco simpatico il picchio verde, a differenza del cuculo, che mi piace, sì, ma con delle riserve, ecco. E’ che volenti o nolenti siamo tutti pieni di preconcetti, noi umani. A noi piace il picchio verde, perché è un gran lavoratore, e perché non parasitizza i nidi altrui deponendoci uova abusive.

Secondo il metro di valutazione umano, specie alla quale mio malgrado appartengo (lo sottolineo, perché sia mai che me lo dimentico), tutti questi esseri sarebbero definiti “brava gente”…tranne il cuculo. Perché a nostro modo di vedere, il cuculo è un parassita, parliamoci chiaro! Uno di passaggio che si approfitta del buon cuore e dell’ingenuità delle altre specie, deponendo le sue uova nei loro nidi e lasciando che loro provvedano ad alimentare suo figlio, finché questo non sfratterà i fratelli più piccoli e deboli, buttandoli fuori dal nido, per approvvigionarsi di tutto il cibo che i genitori ignari, continuano a portargli con un lavoro di via vai integerrimo e senza sosta. Un po’ come accade per quelli che abbandonano i figli che poi vengono presi in carico dall’assistenza sociale, con la differenza che qui le famiglie d’accoglienza sono sempre molto efficienti e premurose e portano il figlio abbandonato sempre e comunque alla maggiore età e senza fargli mancare nulla. Una cosa così, ma molto più metodica, studiata e ben congeniata, la tattica di riproduzione del cuculo. Il cuculo è un professionista dell’abbandono della prole.

In natura c’è sempre una spiegazione a tutto. Niente accade per caso. Io mi sono chiesta per anni quale fosse la spiegazione per un comportamento di questo tipo e no, non sono ancora riuscita a capire, non sono ancora riuscita a darmela, una spiegazione plausibile. Voglio dire, un uccello come il cuculo non avrebbe problemi di sopravvivenza se anche adottasse i metodi riproduttivi che adottano tutti gli altri uccelli, facendosi un nido e deponendovi le sue uova… eppure, niente: lui fa sta cosa ignobile. E sta cosa comporta la morte di altri uccelli, perché i fratellastri non hanno scampo; vengono inevitabilmente buttati fuori dal nido. Ed è terribile sto fatto che i genitori non ci arrivino, non capiscano e continuino a nutrire un figlio parassita, che non è roba loro.

Insomma, gente; a me sto fatto mi rode. Ed è per questo che non so capirne il senso, perché non so pensarci a mente lucida. Non so vedere la cosa libera da preconcetti. Per me, da qualsiasi lato guardo la situazione, mi pare una roba che non ha scusanti; una cosa inconcepibile, ecco!! Eppure, se la natura ha deciso che sta cosa deve accadere così, un motivo lo avrà avuto, no? E allora mi capita di pensare alla Morte; proprio così. Quante volte di fronte alla Morte abbiamo provato quel senso di impotenza e di smarrimento, dovuto spesso proprio al sentore che la Morte è ingiusta e inclemente? Ecco, più o meno, ci si potrebbe fare su un discorso analogo. Il punto è che in natura accadono cose che noi umani non ci sappiamo spiegare, perché siamo ancora troppo piccoli. Non ci arriviamo perché non ne sappiamo abbastanza della vita, per capire anche la Morte. Se non sappiamo capire le ragioni del cuculo, figuriamoci se sappiamo capire le ragione di madama Morte, mi viene da dire.

Io sono sicura che il giorno che arrivo a capire perché il cuculo si riproduce in questo modo sciagurato, capirò qualcosa di molto importante della vita su questa Terra; e magari sarà il giorno in cui una Signora avanti con l’età e con i capelli candidi raccolti in una crocchia voluminosa, il viso pallido con un sottile naso dritto e gli occhi grigi, e con addosso un bell’abito vittoriano di raso e pizzo nero, verrà a prendermi per portarmi sottobraccio in uno splendido giardino all’inglese. Ci saranno ruscelli d’acqua dolce e molte rose e alberi e cespugli di biancospino fra i quali cinguettano i codirossi, le cinice, i merli ed i passeri che ci avranno già fatto il nido; ci sarà pure il cuculo, che svolazza di qua e di là un po’ inquieto, muovendosi veloce fra i rami dei tigli e delle querce secolari, perché ha l’impellenza di deporre un uovo in qualche nido altrui. E con Lei, con la Signora sottobraccio passeggerò lentamente e sarà la prima volta forse che saprò sorridergli, al cuculo… perché avrò capito finalmente perché lo fa e che senso ha.

Ma non so se potrò dirvi come va a finire.

La Morte e il Boscaiolo

da Favole di Jean de La Fontaine

Sotto un fastel di legna, non men che sotto il peso

degli anni, un Boscaiolo, curvo,accasciato e stanco,

andava a trascinando il doloroso fianco

verso la sua capanna.

Ma tanto è il male e il peso che il poverin affanna,

che posto in terra il carico, a dire cominciò:

– Qual dura sorte in questo mondo sconclusionato il cielo mi serbò!

Sempre con il pane in lite per il soprammercato

la moglie, i figli, i debiti, le tasse e l’angherie

che fanno a un pover’uomo la vita irta di spine.

O Morte, a questi mali poni un rimedio e un fine –.

La Morte, che non usa farsi aspettare giammai,

vien subito e – In che cosa, – esclama, – o buon fratello,

posso giovarti? – O grazie, soltanto ti chiamai,

perché mi aiuti a reggere questo fardello – .

È la morte un gran rimedio

a chi è stanco di soffrir.

Sarà ver, ma piace agli uomini

più soffrir che morir.